Le campagne di comunicazione, soprattutto se istituzionali, dovrebbero far riflettere e portare a galla spunti di discussione e crescita. Con il Fertility Day, come abbiamo appurato nei giorni scorsi per la seconda volta in meno di un mese, non è possibile vedere nulla di tutto ciò.
A ricordarci come vanno davvero le cose ci sono però racconti di vita vera come quello di S.P., mamma lavoratrice che ha scritto al giornalista Beppe Severgnini una lettera che è diventata virale e alla quale lui ha prontamente replicato.
Io, mamma lavoratrice, non ce l’ho fatta: si tratta di un titolo forte, senza dubbio. Forte ma anche molto vero, perché fa capire quanto oggi, in Italia, sia difficoltoso conciliare maternità e lavoro.
S.P. è avvocato e mamma di due bimbe. Nella sua lettera racconta di difficoltà che fanno parte della vita di tantissime donne: i problemi nel chiedere orari ridotti al lavoro, i soldi spesi per le baby sitter, i costi, a dir poco folli, degli asili nido anche se pubblici.
Non si tratta di una visione pessimistica, bensì del ritratto reale di un Paese che non ha bisogno di campagne di comunicazione imbarazzanti, ma di politiche di welfare serie e anche di un po’ più di solidarietà, in particolare tra donne.
Se ci si sforzasse per esempio di giudicare meno le scelte di una neo mamma, evitando di entrare nel merito di questioni legate al lavoro e alla decisione di rimanere a casa piuttosto che di continuare la carriera, tutto sarebbe molto più facile.
Ci vuole solo un po’ di umanità, una dote che nessuna campagna di comunicazione insegna e che può essere coltivata impegnandosi ogni giorno, per aiutare anche con un sorriso e una sana chiacchierata tra amiche le tante S.P. che hanno paura di mostrarsi vulnerabili.
